Sommario

Il disturbo di personalità evitante è una condizione psicologica caratterizzata da una profonda insicurezza e da una scarsa fiducia in sé stessi. Le persone con questo disturbo tendono a evitare situazioni sociali e a non instaurare relazioni intime con gli altri, temendo di essere giudicate o rifiutate. Il disturbo di personalità evitante è anche caratterizzato da una tendenza a evitare il rischio e a scegliere attività sicure e prevedibili anziché affrontare sfide o fare cose nuove.

Quando ha senso parlare di un vero e proprio disturbo di personalità?

Quando i tratti di personalità diventano troppo rigidi e il modo di percepire la realtà, di reagire agli eventi e di relazionarsi con gli altri risulta inflessibile, si parla di “disturbo”. Queste modalità possono compromettere il generale funzionamento della persona nelle aree sociale, affettiva, scolastica e lavorativa. Il grave disagio e la sofferenza che ne derivano impattano pesantemente sulla vita dell’individuo e, molto spesso, delle persone che si relazionano con lui. L’esordio del disturbo di personalità si osserva, abitualmente, in adolescenza o nella prima età adulta e può portare all’isolamento sociale e all’abuso di droghe e alcol.

È necessario che le anomalie osservate siano due (o più di due), all’interno degli ambiti riguardanti:

  1. la sfera cognitiva (come il soggetto pensa e interpreta sé stesso, gli altri e gli eventi della vita);
  2. la sfera affettiva;
  3. il funzionamento interpersonale;
  4. il controllo degli impulsi.

Cos’è il disturbo di personalità evitante e quali sono i sintomi principali

La personalità evitante fu descritta, per la prima volta, nel 1969, da Theodore Millon, che individuò, come caratteristica preminente del disturbo, una modalità di rifiuto attivo e non passivo nell’avere relazioni sociali.

È molto importante, per comprendere il soggetto con disturbo di personalità evitante, porre l’accento proprio sull’essere attivamente riluttanti nel cercare il contatto con altri individui. Questo vuol dire, quindi, che la persona teme le relazioni, ma le desidera, sviluppando immediate reazioni ansiogene nei contesti sociali dovute a un problema di prestazione, vissuto in determinate situazioni. Ha il timore di comportarsi in modo inadeguato, di essere rifiutata e criticata e, nelle relazioni, vive con terrore l’idea di potersi vergognare o di essere messa in ridicolo. Difficilmente si assume il rischio di impegnarsi in attività nuove che potrebbe avere difficoltà a gestire e non si lascia quasi mai coinvolgere da altre persone a meno che non le conosca molto bene e si fidi di loro. Desidera intensamente amore e accettazione, ma solo pochi riescono a superare i suoi rigidissimi sistemi di sicurezza e difesa, arrivando a instaurare con lei un rapporto fatto di intimità e condivisione.

Il soggetto evitante può apparire timoroso, imbarazzato e soprattutto riservato.

Si contraddistingue per essere diffidente, solitario, estremamente autocritico e ipersensibile. Teme in modo marcato l’umiliazione. È disforico e, per questo motivo, il suo umore tende molto spesso a vissuti di natura depressiva.

Mentre in alcuni disturbi come, per esempio, il disturbo schizoide di personalità, la ricerca di rapporti sociali è del tutto passiva, non cercata, non desiderata e la persona si caratterizza per essere fredda, distaccata e distante, la persona evitante desidera il contatto con gli altri ma, essendo un carattere fobico, si trova frequentemente in situazioni di imbarazzo.

Il sentimento di inadeguatezza, di inferiorità e la paura del fallimento costituiscono il nucleo centrale del disturbo di personalità evitante e il soggetto considera queste caratteristiche immutabili. Tutto questo lo porta a distaccarsi attivamente in modo da proteggersi da eventuali imbarazzi.

Ha, rispetto agli altri, una peggiore consapevolezza delle proprie emozioni e una capacità ridotta nel riuscire a esprimerle praticamente.

Sebbene desideri una vita diversa, la convinzione di valere poco lo porta a condurre un’esistenza monotona e ripetitiva. Nei rari casi di approccio con gli altri, la fuga è la strategia messa in atto con maggior frequenza, anche perché l’ansia marcata che ne deriva può, in alcuni casi, o degenerare in veri e propri attacchi di panico o, in seguito a eventuali umiliazioni e rifiuti, in scatti di rabbia con reazioni anche molto forti. La sua vulnerabilità lo rende particolarmente predisposto ad avere una percezione falsata dei comportamenti degli altri che vengono sovente interpretati in modo esagerato o del tutto errato. Questo è il motivo per cui accetta di farsi coinvolgere solo quando sa di piacere.

Il risultato è un vissuto solitario, triste e un senso di vuoto costantemente presente. La sensazione che più frequentemente ha è di vivere in finestra, a osservare le vite degli altri che scorrono davanti a lui. L’atteggiamento evitante, quindi, lo protegge da tutto quello che viene percepito come pericoloso e le uniche attività che vengono considerate gratificanti sono quelle svolte da soli, senza la presenza di altre persone.

Il soggetto evitante, quindi, ha le basi e le competenze necessarie per socializzare in modo adeguato, ma è costantemente preoccupato di esporsi per paura di sfigurare. L’autocontrollo è sempre massimo, al fine di evitare errori. È patologicamente autocritico avendo interiorizzato un’idea di sé estremamente scadente e sempre esposta a potenziale scherno da parte degli altri.

Da ciò consegue che le attività occupazionali vengono evitate o vissute con enormi carichi di ansia perché richiedono un contatto sociale, così come le relazioni che vengono vissute con un atteggiamento particolarmente inibito.

Cause del disturbo di personalità evitante: ipotesi sull’infanzia

Volendo provare a ricostruire quella che potrebbe essere stata l’infanzia di una persona con disturbo di personalità evitante, Lorna S. Benjamin ipotizza che questa sia stata inizialmente buona, con cure appropriate e un buon attaccamento sociale. Un buon inizio, da un punto di vista evolutivo, avrebbe permesso lo sviluppo di una base per l’attaccamento che avrebbe consentito di sviluppare un desiderio di contatto sociale.

Il contesto familiare, però, era anche caratterizzato da un controllo eccessivo e smisurato da parte dei genitori, nel tentativo di ottenere un figlio invidiabile e prefetto. Veniva data un’importanza estrema al giudizio e alle opinioni delle persone estranee al nucleo familiare e il bambino era costantemente chiamato a dover lavorare con accuratezza sulla sua immagine sociale che doveva essere ammirevole e degna di nota. I comportamenti che non risultavano essere adeguati venivano attaccati, causando imbarazzo e vergogna, al fine di evitare brutte figure per tutta la famiglia. Ogni difetto, limite o fallimento veniva deriso, in famiglia, in modo umiliante, con battute violente o sarcastiche. Il quadro che emerge, quindi, è quello di un ambiente familiare ridicolizzante, rifiutante e inflessibile, all’interno del quale veniva richiesta un’immagine impeccabile. La reazione va quindi in direzione dell’autonomia, ma vede la capacità di lasciarsi coinvolgere sul piano sociale fortemente compromessa.

In alcuni casi il disturbo di personalità evitante può essere causato anche dall’uscita da un contesto familiare eccessivamente accudente e protettivo che non prepara adeguatamente l’individuo al mondo esterno, a cui fa seguito l’inserimento in un ambiente extra familiare (in genere la scuola), che si rivela fortemente giudicante e aggressivo.

Sono molteplici, quindi, le fasi di vita in cui la vergogna può avere avuto un ruolo da protagonista; sarebbe, infatti, riduttivo connettere tutto a un unico momento evolutivo della vita del bambino, ma piuttosto a qualcosa che si è reiteratamente verificato e rinforzato nel corso della sua crescita.

Trattamento psicoterapeutico del disturbo di personalità evitante

Il trattamento psicoterapeutico risulta fondamentale ed evidenzia la vergogna come esperienza affettiva centrale degli individui con disturbo personalità evitante.

L’individuo evitante è solitamente resistente nel rivelare particolari che lo riguardano e questa tendenza sarà rispettata anche in terapia, nel timore di essere giudicato dal terapeuta. Sarà quindi fondamentale creare un setting in cui il paziente possa sentirsi al sicuro e lontano da ogni forma di giudizio, al fine di facilitare il processo di conoscenza e accettazione di sé.

La psicoterapia permette di rintracciare i vari momenti e le varie esperienze di vita dell’individuo evitante che possono aver avuto un significato e un’influenza importante nel generare inibizione e riluttanza. Questo è particolarmente utile per aiutare il paziente a iniziare ad accettare sé stesso allontanando gradualmente questi sentimenti di colpa e di vergogna.

Il terapeuta offre al paziente un supporto privo di critiche in cui possa sentirsi al sicuro e in cui potersi esporre gradualmente, sempre di più. Questo facilita l’apprendimento di nuovi modelli. La terapia individuale è preziosa per dare sicurezza a un paziente con disturbo di personalità evitante (così come, del resto, per gli altri disturbi di personalità) e gli permette di progredire verso una terapia di gruppo. La terapia di gruppo permette un’esposizione reale a relazioni interpersonali in cui il paziente può imparare a percepire il gruppo stesso come non giudicante o umiliante; il gruppo può, inoltre, essere percepito come in grado di accettare i difetti e questo comporta una maggiore capacità di accettazione da parte dell’individuo verso se stesso.